Mehta/Beethoven: un bacio al mondo intero

Mehta/Beethoven: un bacio al mondo intero

giovanni francio

Mehta/Beethoven: un bacio al mondo intero

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martedì 11 Luglio 2017 - 08:44

Al TaoFilmFest Il capolavoro sinfonico di Beethoven e la magica bacchetta di Zubin Mehta

Sabato scorso, al Teatro Antico di Taormina, è andata in scena una strepitosa esecuzione della Sinfonia n. 9 in re minore op. 125 “Corale” di Ludwig van Beethoven da parte dell’Orchestra e del Coro del Teatro Massimo di Palermo, per la direzione del celebre direttore Zubin Mehta. L’evento si inquadra nel contesto della Notte bianca organizzata in occasione del 63° Taormina Film Fest, durante la quale, dopo l’esecuzione della Nona, sono stati proiettati in altri siti tre film nei quali in vario modo la musica di Beethoven è protagonista: Arancia meccanica di Stanley Kubrick, Lezione 21 di Alessandro Baricco, e Amata immortale di Bernard Rose.

Difficile scrivere qualcosa sulla Nona di Beethoven che non sia già stato scritto, e tra l’altro chi ha avuto la fortuna di assistere al concerto avrà letto, nel programma di sala, lo splendido commento di Lorenzo Arruga, uno dei massimi critici musicali italiani. Si tratta dell’ultima sinfonia del grande musicista tedesco e rappresenta più che l’epilogo della sua parabola compositiva nel campo sinfonico, la prima e unica manifestazione per grande orchestra di quello che viene spesso definito il terzo periodo compositivo di Beethoven, l’ultima fase della sua esistenza durante la quale, già completamente sordo, il grande maestro si avventurava in terreni artistici allora impensabili, sperimentazioni sonore, dove gradualmente viene abbandonata la forma sonata in favore di altre, come, ad esempio, l’arte della variazione, portata alle sue estreme raffinatezze, o la rielaborazione della fuga barocca in chiave drammatica. Questo straordinario e avveniristico percorso aveva avuto inizio con le ultime sonate per pianoforte, e vedrà il suo coronamento negli ultimi quartetti per archi, passando per le due sonate per violoncello op. 102, e appunto per la più celebre e amata delle sue sinfonie, la Nona. Qui tutto è monumentale, ogni movimento, allegro o adagio che sia, viene portato alle estreme vette musicali. Il primo movimento – Allegro ma non troppo, un poco maestoso – inizia su un tremolo di archi con sottofondo dei corni, una materia sonora dalla quale a poco a poco emerge il tema dominante, che si afferma con tragica violenza nella tonalità di re minore. Questo straordinario incipit, unico in tutta la produzione sinfonica beethoveniana, fu sicuramente tenuto presente da Wagner, nell’incipit dell’Oro del Reno, inizio della sua tetralogia. Il primo movimento è basato su temi presentati a gruppi, uno splendido affresco sonoro, ove si alternano elementi tragici, violenti, ad altri pastorali e sereni, ritmo, contrappunto, fino a quella sorta di marcia funebre finale che sembra portare con sé tutte le sciagure del mondo, fino alla tragica riaffermazione del tema dominante in re minore.

Zubin Mehta ha operato una perfetta scelta dei tempi, rispettando appieno le indicazioni di Beethoven “Allegro ma non troppo, un poco maestoso”, conferendo al brano quella solenne maestosità, ma anche quel ritmo trascinante, che spesso vengono compromessi da esecuzioni rispettivamente troppo veloci o troppo lente. Trattandosi di un allegro che somiglia molto ad un andante, il genio di Bonn ha intuito che, per contrasto, il brano doveva essere seguito da un presto anziché dall’usuale andante o adagio, per cui il movimento lento viene collocato al terzo tempo. Come secondo movimento Beethoven colloca un – Molto vivace – uno Scherzo che rappresenta uno dei principali leitmotiv del film Arancia meccanica di Stanley Kubrick. A differenza degli altri due film proiettati nella notte bianca, di qualità assai modesta e dal contenuto ora romanzato (Amata immortale), ora assai discutibile (Lezione 21), il film di Kubrick è uno dei capolavori della storia del cinema – come del resto la maggior parte dei suoi film – e la musica ne è parte integrante, lo connota fortemente, come avviene in molti lungometraggi del regista americano (si pensi al valzer di Shostakovich in Eyes Wide Shut o a “Così parlò Zarathustra” di Richard Strauss in 2001 Odissea nello spazio. Al “Molto vivace” dal ritmo irresistibile e dallo spirito dionisiaco, segue il meraviglioso “Adagio molto e cantabile”, una sublime preghiera, basata su uno dei temi più dolci e commoventi mi composti dal musicista tedesco, che, attraverso uno sviluppo che sembra non debba finire mai, ci eleva alle massime altezze spirituali. Dopo un simile brano la sinfonia, per mantenersi a tale eccelso livello, non poteva che concludersi con un elemento di rottura. Già da parecchio tempo Beethoven aveva manifestato la volontà di musicare i versi di Schiller “An die Freude” (Alla gioia); per Beethoven introdurre nelle sinfonie l’elemento vocale, il coro e i solisti, rappresentava una rivoluzione assoluta, staccarsi da tutta la sua poetica sinfonica sino ad allora perseguita. Dopo aver suonato cenni dei movimenti precedenti, l’orchestra finalmente prima in sordino, poi in crescendo, intona il famosissimo tema dell’inno alla gioia, con una splendida arte della variazione. Il tema verrà ripreso poi dai cantanti, in alternanza con il coro, si ascolta il tema variato in forma di marcia, fugato, si alternano momenti irruenti ad altri gravi e solenni. Se forse dal punto di vista strettamente estetico musicale il movimento non possiede la stessa perfezione formale dei precedenti, e in alcuni punti denota qualche forzatura, come, ovviamente, nei momento vocali, (tanto da far ritenere sopravvalutata la sinfonia dal professore protagonista del discutibilissimo film di Baricco), nel complesso l’impressione di grandezza, la bellezza del tema, la grandissima arte della variazione, la monumentalità dell’impianto, la sensazione infine di lascito universale all’umanità di Ludwig Van Beethoven, rendono il brano impressionante ed indimenticabile.

Magistrale l’esecuzione dell’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, superbamente diretta da Zubin Mehta. Il direttore indiano è apparso ancora in splendida forma, il suo modo di dirigere, composto e sobrio, con precisi ma appena accennati gesti con la bacchetta, ha dato vita ad un’interpretazione caratterizzata dalla precisione ritmica, dal sottolineare le singole sfumature senza perdere di vista l’unitarietà dell’insieme. La sua direzione è fatta anche di profondissimi sguardi, ed è stato emozionante vedere la beatitudine dipinta sul suo volto nel dirigere l’“Adagio molto e cantabile”, o la sua sentita partecipazione nel seguire i cantanti solisti. La Nona alla sua prima esecuzione, a Vienna, preoccupò non poco i cantanti che la reputarono quasi ineseguibile, tanto era lo sforzo richiesto alle loro ugole. Sabato i cantanti si sono dimostrati all’altezza della loro fama: Julianna Di Giacomo, soprano, Lilly Jorstadt, mezzosoprano, Michele Schade, tenore e Wilhelm Schwinghammer, basso, tutti egualmente hanno fornito una performance di assoluto rilievo. Incantevole il basso Schwinghammer nel difficile incipit, ove ha toccato accenti di rara bellezza. Magistrale anche la prova del coro, diretto dal M° Piero Monti. Reputato come il precursore del romanticismo tedesco, l’archetipo dello Sturm und drang, Beethoven ha lasciato ai posteri un potente messaggio illuminista, una sconfinata fiducia nell’uomo. Ormai troppi anni fa il tema dell’Ode di Schiller fu scelto dall’Unione Europea come proprio inno, per celebrare i valori fondanti dell’Unione, la fratellanza, la solidarietà, la pace, la gioia. Beethoven credeva fortemente nella fratellanza umana, “Diesen Kuss der ganzen Welt! Brüder, über'm Sternezelt” (Abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio al mondo intero). In un momento storico ove si innalzano muri e si chiudono i porti, il messaggio universale di Beethoven è sempre più attuale, scuote le coscienze, arriva nel profondo di ognuno; il suo bacio al mondo intero è anche il suo lascito spirituale all’umanità.

Giovanni Franciò

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