Al via il piano europeo di salvataggio della Grecia. Inizia il lungo periodo di sacrifici

Al via il piano europeo di salvataggio della Grecia. Inizia il lungo periodo di sacrifici

Giovanni Mollica

Al via il piano europeo di salvataggio della Grecia. Inizia il lungo periodo di sacrifici

venerdì 09 Marzo 2012 - 12:14

L’economia di mercato unita alla globalizzazione costringe i Paesi a moneta unica a dover essere competitivi. Pena una decadenza inarrestabile, analoga a quelle che stanno vivendo Grecia, Portogallo e, probabilmente, Italia. In questo drammatico quadro europeo, i politicucci nostrani, a tutti i livelli e a destra come a sinistra, sembrano giocatori intenti a giocare una partita della quale non hanno compreso ancora le regole

Prima di tutto, vediamo cosa vuol dire che lo swap ha superato la soglia del 75%.
Per avviare le misure previste per salvare la Grecia dal fallimento, almeno il 75% dei creditori doveva aderire a una ben precisa proposta di scambio di obbligazioni pubbliche con altre obbligazioni pubbliche. Chi ne deteneva per 1.000 euro, ad esempio, doveva accettare di riconsegnarle all’emittente (lo stato greco) ricevendone in cambio 535 con diverse scadenze. Le più lunghe arrivano al 2049.

Questo scambio, nel linguaggio della finanza è uno swap; mentre la differenza tra i 1.000 euro di valore nominale e i 535 (sempre di valore nominale, però) viene chiamata “haircut”, cioè “taglio dei capelli”.
Adesso parte per i Greci il programma “lacrime e sangue” derivante dalla criminale insipienza dei loro governanti e dalle dure condizioni imposte da Frau Merkel.

Nel settembre 2010, alla runione del Comitato di vigilanza bancaria europeo di Basilea (passato alla storia come “Basilea 3”), il Cancelliere tedesco aveva detto: “L’eventuale insolvenza della Grecia se la devono piangere anche coloro che le hanno concesso crediti in modo sconsiderato”.
Parlava alla nuora (banchieri e Greci) ma voleva farsi intendere anche dalla suocera (Portoghesi, Italiani, ecc.).
Questa dichiarazione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso mal costruito e già incrinato dell’unione monetaria.
La quantità di titoli di stato che circolano nel mondo è immensa, ed è in larga misura detenuta dalle banche. I cui manager amavano i titoli greci, portoghesi e italiani perché rendevano molto in termini di tasso d’interesse, favorendo il raggiungimento di quegli obiettivi che avrebbero fatto entrare nelle loro ampie tasche bonus milionari.
Quando le banche hanno capito che l’Ue non avrebbe più garantito i titoli a rischio hanno iniziato a vendere quelli che avevano in portafoglio, causando il brusco innalzamento del differenziale (spread) con i titoli più solidi (ovviamente, quelli tedeschi), ed è cresciuto di botto il pericolo che le aste di titoli dei Paesi in difficoltà andassero deserte.

Il resto è storia. Tristissima per i Greci dalla classe media in giù.
Veniamo al punto.
L’economia di mercato, sommata alla globalizzazione, obbliga gli stati a moneta unica ad essere competitivi secondo i criteri dettati dai più forti. E il più forte è la Germania che, col sostegno di Olanda, Finlandia, Austria, Belgio e, saltuariamente, della Francia, impone bilanci in pareggio. Il che si traduce semplicemente nell’aumentare le entrate e ridurre le spese.
Come reagiscono i partiti del Bel Paese a questa drammatica situazione?
Il centrodestra – tranne una minoranza priva di peso – si preoccupa solo di annacquare le proposte di Monti, difendendo i privilegi e le ruberie di qualche centinaio di migliaia di appartenenti a caste e cricche varie.
Il centrosinistra – tolta una frangia moderata ma minoritaria – si lascia trascinare dalla vuota demagogia dei gruppi integralisti. Forse in omaggio all’antica paura di avere nemici a sinistra.

Ed è sul centrosinistra che vogliamo soffermarci, perché periodicamente delude le nostre speranze.
La prima delusione l’abbiamo avuta quando ha sposato lo sciagurato referendum sulla presunta privatizzazione dell’acqua. Mediante il quale è stato riconsegnato per parecchi decenni il governo delle reti idriche alla parte peggiore della politica. Quella che ha divorato miliardi di euro degli enti locali ponendo amministratori incompetenti alla guida delle società che gestiscono servizi pubblici essenziali per i cittadini.

Un’altra delusione, ben più grave, è il totale disinteresse mostrato per Sicilia, Calabria e Basilicata. Lo pseudo-meridionalismo del centrosinistra si concretizza interamente nell’appoggio alle iniziative di Vendola, che mostra di essere interessato esclusivamente alla sua Puglia.

Da qui le modifiche alle grandi reti di trasporto europee che escludono, di fatto, Basilicata, Calabria e Sicilia da qualsiasi ipotesi di sviluppo.
Scelte opportunistiche, vergognose e suicide per l’interesse generale del Paese.
Se a questo sfascio culturale di centrodestra e centrosinistra aggiungiamo l’ottusa inefficienza della burocrazia, l’insipienza e gli sprechi degli enti locali e
l’irresponsabilità di certi magistrati
, avremo il quadro di un Paese che, invece di proporre misure utili per far crescere quella competitività indispensabile per restare dignitosamente in Europa, fa di tutto per ridursi come la Grecia.

Le tristi vicende di British Gas a Brindisi e di Veolia a Gioia Tauro – due tra le pochissime multinazionali disponibili a investire centinaia di milioni in Italia (per guadagnarci, s’intende) -, che fuggono a gambe levate sono significative in merito a quello che ci aspetta.

Il primo caso è particolarmente significativo riguardo al concetto di competitività: l’azienda britannica, 11 anni fa (11 anni fa!!!) aveva presentato 2 progetti per realizzare dei rigassificatori, di cui l’Italia ha bisogno come il pane. Uno in Galles e l’altro a Brindisi. Il primo funziona già da 5 anni, il secondo ha trovato una tale opposizione tra amministrazioni locali, interventi della magistratura e Belle Arti da costringere la multinazionale inglese a interrompere il programma dopo aver buttato al vento centinaia di migliaia di euro.
Immaginate le conseguenze che una vicenda come questa avrà sulla scelta della destinazione degli investimenti delle centinaia di grandi aziende in cerca di luoghi dove avviare nuove iniziative.

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