L’Orchestra del Corelli e la democrazia musicale

L’Orchestra del Corelli e la democrazia musicale

giovanni francio

L’Orchestra del Corelli e la democrazia musicale

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martedì 12 Dicembre 2017 - 08:58

L’orchestra del conservatorio cittadino si cimenta in classici di repertorio

L’Orchestra del Conservatorio Corelli, integrata da alcuni docenti, grazie ad una proficua collaborazione che si sta ormai consolidando con le associazioni musicali della città, è stata protagonista al Palacultura sabato, per la stagione musicale dell’Accademia Filarmonica, nell’esecuzione di tre brani amatissimi da tutti i cultori della musica.

Diretta dal maestro Bruno Cinquegrani, l’orchestra ha esordito con l’ouverture “Le Ebridi” op. 26 di Felix Mendelssohn. Si tratta di uno dei più suggestivi pezzi sinfonici del romanticismo tedesco, e trae spunto dal viaggio che il musicista fece in Scozia nel 1829. Mendelssohn fu affascinato dagli splendidi paesaggi scozzesi, che gli ispirarono anche il suo capolavoro sinfonico, la sinfonia n. 3 in la minore, detta appunto “Scozzese”. “Le Ebridi”, in particolare, fu composta in seguito alle impressioni che suscitò al musicista la visita dell’isola di Staffa, ove trovasi una grotta di stalattiti, ed infatti l’ouverture è anche nominato “Grotta di Fingal”. È un brano denso di lirismo romantico, fatto di temi indimenticabili, ai quali la tonalità in si minore conferisce un’atmosfera misteriosa, in assonanza con i brumosi paesaggi della Scozia. Il Concerto n.2 in fa minore op. 21 per pianoforte e orchestra di Fryderyk Chopin, con l’ingresso della pianista solista Paola Bruni, ha concluso la prima parte della serata. Chopin, come è noto ha dedicato tutta la sua straordinaria vena artistica al pianoforte, e le poche opere orchestrali da lui composte vedono sempre il pianoforte come protagonista. Non fa eccezione il concerto n. 2, che in realtà è il primo composto da Chopin, ricco di splendidi temi tipicamente chopiniani sia nel primo movimento “Maestoso”, con un malinconico secondo tema di contrasto al primo di carattere appunto maestoso, sia nel bellissimo “Larghetto”, che contiene uno dei temi più ispirati di tutta la produzione artistica di Chopin, sia il terzo movimento, “Allegro vivace”, a tempo di Mazurka. Il limite del concerto sta proprio nella partitura orchestrale, che spesso funge da semplice accompagnamento di sottofondo al pianoforte, la cui funzione è assolutamente preminente. Siamo lontani dall’equilibrio fra solista e orchestra dei concerti per piano e orchestra di Mozart prima e di tutti i romantici poi, passando ovviamente da Beethoven, tanto che il concerto fu oggetto di una severa critica da parte di Berlioz, che si spinse ad affermare che “Quando suonano tutti non si percepisce nulla, quando accompagnano il pianoforte l’uditore ha la tentazione di gridare : zitti, che disturbate!”. Tuttavia è uno dei concerti più amati ed eseguiti, grazie ai suoi temi dolcemente cantabili. Buona la performance della pianista, molto applaudita, che ha sfoggiato una sicura tecnica, anche se talvolta forse è apparsa un po’ rigida, poco fluida nella resa del cantabile chopiniano. Paola Bruni ha concesso due splendidi bis, l’”Andante spianato” op. 22, di Chopin, un brano dolcissimo che precede la “Grande polacca brillante”, ma che spesso, per il suo alto valore artistico, viene eseguito da solo (anche Chopin soleva spesso eseguirlo come brano a se stante), e il famosissimo “Studio op. 8, n. 12 in re diesis minore Patetico” di Alexander Scriabin, un brano appassionato e impetuoso, dove a mio avviso la pianista a dato il meglio di sé. La seconda parte è stata interamente dedicata alla Sinfonia n. 101 in re maggiore “La pendola” di Joseph Haydn. Questo capolavoro appartiene all’ultima parabola compositiva del musicista austriaco, e fa parte delle dodici sinfonie dette “Londinesi” in quanto composte per essere eseguite nella capitale inglese su invito dell’impresario Solomon. In queste sinfonie Haydn porta ai massimi sviluppi il suo magistero strumentale sinfonico. Egli aveva conosciuto le ultime sinfonie di Mozart, poiché nonostante molto più anziano del salisburghese, gli sopravvisse per altri diciotto anni, e fece sicuramente tesoro degli insegnamenti del grande genio. La n. 101 è una delle più riuscite, perfettamente equilibrata in ogni movimento, con il picco più alto raggiunto nel famosissimo “Andante”, il cui staccato dei fagotti insieme al pizzicato degli archi, che ricordano il ticchettio dell’orologio, dà l’appellativo alla sinfonia. È un brano che, dopo l’apparente bonaria ironia, si sviluppa in maniera drammatica (non per niente è scritto nella tonalità minore) con una splendida elaborazione polifonica. Tutta la sinfonia comunque si mantiene ad elevati livelli, dal “Presto” iniziale, preceduto da un “Adagio”, come in alcune delle ultime sinfonie mozartiane (la n. 36, 38 e 39), al “Minuetto dal sapore popolare con un delizioso Trio”, al brioso e irresistibile “Finale”.

Buona e intensa la direzione del maestro Bruno Cinquegrani, che ha già diretto in altre occasioni questa orchestra, un po’ troppo affrettato l’Andante della sinfonia di Haydn, che è sembrato quasi un allegretto, mentre ottima la scelta di tempo per l’ouverture di Mendelssohn. Lodevole l’iniziativa di far suonare allievi e docenti del conservatorio, un “fare musica insieme” che fa sicuramente bene agli uni e agli altri. Avremo modo di riascoltare l’Orchestra, sempre diretta da Cinquegrani, il 25 febbraio dell’anno prossimo per la stagione della Filarmonica Laudamo.

Giovanni Franciò

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