Frana Letojanni, a giudizio ex vertici Cas e impresa che eseguì messa in sicurezza

Frana Letojanni, a giudizio ex vertici Cas e impresa che eseguì messa in sicurezza

Alessandra Serio

Frana Letojanni, a giudizio ex vertici Cas e impresa che eseguì messa in sicurezza

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giovedì 09 Gennaio 2020 - 07:30

Processo ad aprile per sei tra responsabili e tecnici del Cas e l'impresa che eseguì la prima messa in sicurezza della frana di Letojanni sulla A18

La frana di Leotojanni è ancora lì, i lavori languono, la sicurezza degli automobilisti in transito sulla A18 è messa a dura prova tutte le volte che la situazione meteo si fa critica, in quel tratto di autostrada. Sono passati più di quattro anni, la frana non è stata rimossa, l’indagine penale sull’evento in sé è ancora alle fasi iniziali.

Gli accertamenti sui primi lavori di messa in sicurezza, invece, ieri hanno avuto una accelerata. Il fascicolo che vede imputate sei persone, per gli interventi che secondo la Procura di Messina non furono affatto adeguati, è andato all’esame del giudice delle indagini preliminari Maria Militello, che ne ha decretato il rinvio a giudizio.

Secondo il GUP le accuse mosse dalla Procura –  disastro ambientale in concorso, peculato e falsità ideologica in atti pubblici, a vario titolo – meritano di essere vagliate dal Tribunale, ed ha fissato al 15 aprile prossimo l’apertura del dibattimento di primo grado.

E’ in quella sede, quindi, che l’allora direttore generale del Cas Salvatore Pirrone, il dirigente tecnico Gaspare Sceusa, l’imprenditore Francesco Musumeci di Piedimonte Etneo, titolare dell’impresa che eseguì i lavori,  il responsabile della sicurezza Antonino Spitaleri, l’ingegnere Francesco Crinò e il geologo Giuseppe Torre, consulente esterno del Consorzio Autostrade, dovranno difendersi dall’accusa – in sostanza  di aver effettuato lavori non adeguati, pur attestati come tali, e non aver vigilato a dovere sull’impresa, per il Cas. A difenderli ci saranno gli avvocati Giovanni Calamoneri, Francesca Bilardo, Rosario Trimarchi, Alberto Gullino e Antonio Pillera.

Dopo una serie di segnalazioni dovuti alla caduta di detriti, la magistratura messinese avviò un fascicolo sui lavori di contenimento del versante franoso,  ipotizzando che il rapporto tra il Cas e la ditta non fu regolare e che i lavori non vennero eseguiti a regola d’arte, col risultato che la rete collocata a protezione dei detriti cadevano sulla corsia, minacciando gli automobilisti di passaggio.

Il progetto era stato redatto dal Cas ma Musumeci aveva scelto i professionisti incaricati,  il geologo e l’ingegnere –, così che l’elaborato fosse presentato su carta intestata dell’ente di contrada Scoppo. Con una perizia di variante sarebbe stato poi avallato, dai due dirigenti, il pagamento del compenso dei professionisti da parte del Cas; da qui l’ipotesi di peculato.

Il lavoro sarebbe poi stato eseguito con materiali di scarsa qualità, “conseguendo ingiusti profitti e ponendo gravemente a repentaglio l’incolumità degli automobilisti e dei residenti in quel tratto di fascia ionica messinese”, spiega la Procura. Cinquecento mila euro più IVA l’ammontare dei lavori appaltati in somma urgenza.

A marzo del 2018  Pirrone, Sceusa e Musumeci erano stati sospesi.

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