Limosani: "La metafora: c'era una volta il grande fiume, la crisi di un modello di sviluppo"

Limosani: “La metafora: c’era una volta il grande fiume, la crisi di un modello di sviluppo”

Limosani: “La metafora: c’era una volta il grande fiume, la crisi di un modello di sviluppo”

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martedì 12 Aprile 2016 - 07:17

Attraverso una metafora il professor Limosani fa un quadro della realtà messinese in questa riflessione sulla crisi d'identità e di un modello di sviluppo

C’era un popolo di antiche tradizioni organizzato in villaggi e la cui ricchezza dipendeva in prevalenza dall’esistenza del “Grande Fiume”. L’acqua di questo fiume scorreva abbondante per tutte le stagioni e i vari raccolti, nutriti da questa fonte inesauribile, venivano impiegati per la produzione dei beni essenziali alla vita. Fondamentale, quindi, era fare arrivare l’acqua al proprio terreno. Compito principale dei capi villaggi, poi, era quello di assicurare che ogni territorio ed ogni abitante potesse avere accesso a questa risorsa.

Il Grande Fiume non aveva mai smesso di scorrere e così nella gente si era consolidata la credenza che il “Dio del Fiume” sarebbe stato sempre generoso con questo popolo; bastava ricordarsi di Lui nelle feste comandate e portare riconoscenza ai sacerdoti, i capi villaggi, che avevano il potere di intercedere presso la divinità. Esistevano nel villaggio attività produttive non legate al Grande Fiume; tuttavia, vuoi per la fatica, i relativi rischi e le scarse opportunità, pochi si avventuravano nelle nuove attività. Il sogno rimaneva l’economia del Grande Fiume o comunque non perdere il legame con essa anche nel caso in cui si era coinvolti in altre attività.

Un bel giorno gli abitanti dei villaggi scoprirono con meraviglia che l’acqua del Fiume cominciava a scarseggiare. Che cosa è successo? si domandarono: abbiamo mancato nei confronti del Dio? Le preghiere e le intercessioni dei capi villaggi non sono più efficaci? Mentre l’incertezza e la confusione aumentavano, bisognava adesso fare i conti con la progressiva riduzione dell’acqua. Essa non era più abbondante come prima e non bastava per tutti. Si disse: non sarà più consentito lo spreco e occorrerà riflettere sul buon uso di questa risorsa. Ma era inevitabile; le tensioni e il malessere cominciavano a farsi strada.

Eravamo di fronte ad una situazione eccezionale. La storia, le prassi, gli atteggiamenti maturati nel corso di intere generazioni spesso non erano d’aiuto per affrontare il nuovo contesto. I sacerdoti erano in difficoltà; la loro credibilità veniva progressivamente erosa. Ancorati alle antiche tradizioni, non conoscevano altro modo se non quello di tentare di controllare quanta più acqua possibile per rassicurare il proprio villaggio. Ma tutto ciò non era più sufficiente. I più giovani cominciavano a lasciare il territorio in cerca di fortuna, intere aree venivano abbandonate. Il modello di sviluppo che questo popolo aveva conosciuto non era più sostenibile. Bisognava pensare ad altro. Cosa fare? Interrogate le grandi anime del passato il popolo insieme decise:

1. Da ora in poi, si dovrà ottimizzare l’utilizzo dell’acqua. Basta sprechi. Ma non solo. A parità di acqua, bisognerà fare in modo che si produca di più e meglio. Per fare ciò si dovrà promuovere la partecipazione di tutti gli abitanti e in modo particolare incentivare la selezione di coloro i quali per competenze, esperienza e talento, sono in grado di introdurre modalità nuove per un uso migliore dell’acqua.

2. Bisognerà incoraggiare lo sviluppo delle attività produttive che sono state trascurate. A questo scopo sarà necessario guardare alle risorse presenti nel territorio, alternative o complementari con il Grande Fiume, e sviluppare idee e progetti in grado di creare le condizioni per rendere attraenti e remunerative le attività legate a tali risorse.

3. Bisognerà unire gli sforzi per salvare tutti i villaggi ed in questo processo sarà necessario anche il coinvolgimento di una nuova classe di “sacerdoti” in grado di introdurre nuove prassi, suscitare nuovi atteggiamenti e promuovere nuovi modelli di sviluppo.

L’acqua del Fiume, sia pure in misura ridotta, rimarrà un bene prezioso per questo popolo. Senza l’acqua i villaggi sono destinati a sparire. Ma adesso dovremo vigilare sull’uso di questa risorsa e destinare parte dei benefici derivati dall’economia del fiume per creare condizioni generali che incentivano la nascita delle nuove attività. Da ora in poi varrà il principio: “aiutati che Dio ti aiuta”. Solo così questo antico popolo non sarà cancellato dalla storia.

Michele Limosani

4 commenti

  1. Che l’acqua del….”fiume” si fosse inaridita ed era per di più inquinata…l sottoscritto, molto modestamente lo denuncia da almeno dici anni. Ma da buon e responsabile “rabdomante” aveva anche individuato un’altra sorgente, ricchissima inesauribile e preziosissima, che avrebbe dissetato TUTTI i nostri concittadini, a partire da quelli dal …basso: IL PONTE SULLO STRETTO. La classe politica e dirigente messinese, compresa l’Universita, si è distratta e girata dall’altro lato…galleggiando nelle placide acque

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  2. Che l’acqua del….”fiume” si fosse inaridita ed era per di più inquinata…l sottoscritto, molto modestamente lo denuncia da almeno dici anni. Ma da buon e responsabile “rabdomante” aveva anche individuato un’altra sorgente, ricchissima inesauribile e preziosissima, che avrebbe dissetato TUTTI i nostri concittadini, a partire da quelli dal …basso: IL PONTE SULLO STRETTO. La classe politica e dirigente messinese, compresa l’Universita, si è distratta e girata dall’altro lato…galleggiando nelle placide acque

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  3. Nicolò D'Agostino 14 Aprile 2016 05:36

    Bravo

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  4. Nicolò D'Agostino 14 Aprile 2016 05:36

    Bravo

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