La Matassa politico-mafiosa a Messina, condannati Genovese e Rinaldi

La Matassa politico-mafiosa a Messina, condannati Genovese e Rinaldi

Alessandra Serio

La Matassa politico-mafiosa a Messina, condannati Genovese e Rinaldi

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martedì 01 Ottobre 2019 - 00:50

4 anni e 2 mesi per corruzione elettorale a Francantonio Genovese. Condannati anche Rinaldi, David e Capurro.

La “Matassa” politica-mafiosa a Messina c’era e ha funzionato nel periodo elettorale a cavallo tra le elezioni regionali del 2012, le politiche e le amministrative del 2013. E i Genovese ne hanno beneficiato in maniera consapevole, almeno in alcuni casi.

La conferma arriva dalla sentenza emessa dal Tribunale (il verdetto è della II sezione Penale presieduta dal giudice Samperi) che ha emesso 39 condanne alla fine del processo di primo grado. La Corte ha letto il verdetto a mezzanotte e mezza trascorsa abbondantemente, in un’aula gremita malgrado fosse notte fonda.

Francantonio Genovese è stato condannato a 4 anni e 2 mesi per le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale, e i due casi di corruzione elettorale in favore di Angelo e Giuseppe Pernicone.

Il cognato Franco Rinaldi è stato condannato a 3 anni e 4 mesi per la sola associazione finalizzata alla corruzione elettorale, mentre è stato assolto con formula piena dagli altri due casi di corruzione elettorale (il “caso” Pernicone).

Quattro anni e nove mesi la condanna per Paolo David, che incassa diverse assoluzioni parziali.

Un anno invece la condanna per Giuseppe Capurro, accusato di corruzione elettorale.

La retata della Squadra Mobile era arrivata alla fine di un lungo lavoro di indagine fatto di intercettazioni, pedinamenti, e ricerca di riscontri che ha permesso di aggiornare la geografia dei clan mafiosi cittadini, in particolare quelli di Camaro e Santa Lucia sopra Contesse, ascrivendo la reggenza a sud a Gaetano Nostro e il comando saldo del clan di centro città allo storico boss Carmelo Ventura.

L’indagine ha anche svelato che alcuni esponenti partitici in quella convulsa stagione tra ottobre 2012 e la primavera 2013 hanno ampiamente pescato nel bacino elettorale della criminalità cittadina, attuando un vero e proprio mercimonio di voti.

Agli atti del processo ci sono infatti episodi di compravendita di voti attraverso la distribuzione di buste di pasta e della spesa, promesse di assunzioni, impieghi in attività lavorative saltuarie.

A marzo scorso a Procura aveva chiesto invece la condanna a 5 anni e 4 mesi per Genovese, per Rinaldi, per David per tutte le accuse tranne una, per Capurro, per Picarella.

Alla lettura del verdetto, in attesa delle motivazioni, l’indicazione è che secondo i giudici il processo, partito nel 2017, ha provato le accuse mosse dalla Procura, che a marzo scorso aveva sottolineato l’esistenza di una “struttura concentrica” di natura stabile, – l’accusa è infatti di associazione a delinquere per gli esponenti politici – che si muoveva intorno ai Genovese e che permetteva loro di ottenere i voti pur non avendo rapporti diretti con tutti i soggetti coinvolti, con tutti gli elettori, in particolare quelli “scomodi”. Una struttura che però loro “ispiravano” direttamente.

In una occasione però la Polizia “becca”, o meglio filma, un incontro tra Genovese e Angelo Pernicone, soprannominato “Berlusconi” attivo nel settore delle cooperative e per la magistratura direttamente legato al clan di Santa Lucia sopra Contesse. Condannato per concorso esterno, Pernicone ha sempre negato di essere interno alla mafia ma ha confermato di essere stato reclutato da David per cercare i voti.

A confermare il legame tra esponenti politici e clan è un altro personaggio reo confesso di essere criminale, ovvero Vincenzo Nunnari. Specializzato in furti, fratello di Gioacchino Nunnari, storico esponente della mafia cittadina, viene arrestato nel 2017, si pente e collaborando con la giustizia accusa Capurro di essere “a disposizione” del boss di Camaro, Carmelo “Mileddu” Ventura.

Il consigliere comunale era stato arrestato con l’accusa di concorso esterno, accusa che era caduta al vaglio del Riesame e archiviata alla fine del vaglio preliminare. Al dibattimento deve quindi rispondere soltanto di un episodio di corruzione elettorale ma i verbali di Nunnari sono entrati nel frattempo nel fascicolo, e oggi per lui la vicenda si è chiusa con la conferma della sola accusa di voto di scambio.

Un altro tassello importante del processo sono le intercettazioni telefoniche. Fiumi di telefonate e conversazioni, in particolare quelle di David, che secondo la Procura, come ha ricordato a marzo scorso il PM Liliana Todaro, mettono in luce un modo di fare politica che ha “come filo rosso il solo interesse privato dei soggetti, in spregio invece ai diritti dei cittadini”.

Attraverso i legami, anche massonici, con gli imprenditori, David si procurava consenso e lo procurava ai Genovese, attuando quei sistemi tanto cari ad un certo modo di fare politica che mira a legare quanto più a lungo possibile il cittadino-elettore ai suoi riferimenti. Come le assunzioni a tempo determinato, finalizzate proprio a far sì che il cittadino dopo un certo periodo di tempo debba “tornare a chiedere il favore” per ottenere quello che invece dovrebbe essere un diritto, ovvero il lavoro.

Sia durante le indagini preliminari che durante il processo, la principale battaglia tra Accusa e difese si è giocata proprio sulle intercettazioni telefoniche, che alla fine sono comunque entrate quasi tutte nel fascicolo dibattimentale.

E’, l’ultimo giorno di settembre, la chiusura di un mese quanto meno non felice, dal punto di vista giudiziario, per i Genovese. Dieci giorni fa Francantonio e il cognato Rinaldi hanno incassato le condanne in appello al processo Corsi d’oro sullo scandalo formazione professionale.

Proprio a proposito della formazione professionale, rispondendo ad una intervista televisiva, Rinaldi commentò con la frase diventata storica della “ricerca sulla luna” dei voti. Ecco, la sentenza di oggi sembra dargli ragione. No, è vero, non è sulla luna che cercavano i voti.

Alla sbarra c’erano poi i capi storici, i reggenti e i riferimenti dei clan di Santa Lucia sopra Contesse e Camaro. Ecco le altre condanne:

4 anni e mezzo per Carmelo Bombaci; 15 anni per Giuseppe Cambria Scimone, 6 anni per Francesco Celona, 12 anni per Giovanni e Vincenza Celona; 13 anni e 4 mesi per Domenico Trentin, Adelfio Perticari, Fortunato Cirillo, Salvatore Mangano, Lorenzo Guarnera e Andrea De Francesco; 7 anni per Francesco Comandè; 16 anni per Santi Ferrante, 10 anni per Francesco Foti; 6 mesi per Francesco Zuccarello, Rocco Richichi, Gaetano Freni, Giuseppe Perello, Lorenzo Papale e Paola Guerrera; 2 anni per Baldassarre Giunti e Mario Giacobbe; 9 mesi per Antonino Lombardo, 17 anni per Raimondo Messina, 4 anni per Massimiliano e Rocco Milo; 20 anni per Gaetano Nostro; 11 anni per Angelo Pernicone, 10 anni e 4 mesi per il figlio Giuseppe; 14 anni e 8 mesi per Pulio Salvatore; 3 anni e mezzo per Pietro Santapaola, 9 anni per Francesco Tamburella; 18 anni per Carmelo Ventura, 14 anni per Giovanni Ventura;

Non doversi procedere per prescrizione per Rosario Tamburella e Vittorio Catrimi. Assolti da tutte le accuse l’imprenditore Paolo Siracusano, in passato candidato alla presidenza della Provincia per il Pd; Cristina Picarella, impiegata col padre nella gestione delle cliniche; Giuseppe Barilà, Salvatore Borgia, Orazio Manuguerra, Fabio Tortorella.

Dovranno essere risarciti l’imprenditore Nicola Giannetto e le sigle anti racket e anti mafia Addio Pizzo e La verità vive.

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2 commenti

  1. È ovvio che il figlio è di ben altra pasta. Tutti voti guadagnati con sudore e fatica i suoi. Il tempo è galantuomo.

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  2. “Mafia, cipria e profumi, il post di Eller scatena il Palazzo. Il coro dell’aula: “Ha offeso la città”. Questo uno dei titoli di Tempo stretto del 2016. Allora andava di moda criticare qualunque cosa facesse o dicesse la giunta o uno dei suoi collaboratori. Non penso siano state comprese sino in fondo la difficoltà di allora.

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