La drammatica testimonianza di Sara al processo contro il fratello Giosuè Fogliani che il 15 gennaio scorso ha ucciso la madre Caterina Pappalardo
Messina – E’ stata lunga e toccante la testimonianza di Sara Fogliani, al processo che vede imputato il fratello Giosuè per l‘omicidio della madre Caterina Pappalardo. La ragazza si è seduta sul banco degli imputati poco prima delle 10, rispondendo alle domande che le sono state rivolte fino a oltre l’ora di pranzo.
Almeno tre ore fitte di richieste da parte del Pm Massimo Trifilò e dell’avvocato Antonello Scordo che difende l’imputato, e che di fatto sono diventate il racconto della tragedia, per lei quindi la ricostruzione di un incubo, per lei quindi di un incubo che non finisce.
Escalation di minacce e paura

“E’ stata una escalation di minacce e scatti di violenza, e di paura, ed ho avuto paura che voglia terminare il suo disegno criminale con me. Mi sono sentita una miracolata, se fossi stata in casa anche io quel giorno, anche io sarei morta. Ho ancora paura”. In estrema sintesi è questo il racconto che Sara ha ricostruito per la Corte d’Assise (presidente Grimaldi) che giudicherà il fratello. La giovane ha deposto al banco al centro dell’aula, seduta dando le spalle al “gabbione” da dove il fratello, in manette e sorvegliato da una guardia, ha seguito l’intera udienza. Sempre rannicchiato su se stesso, sempre senza mai alzare la testa e volgere lo sguardo verso la Corte, la sorella, il suo stesso difensore o i tanti altri presenti, come già aveva fatto alla scorsa udienza, la prima del dibattimento.
Una figlia che ha perso la madre per mano del fratello
Sara ha affrontato l’esame dell’Accusa e il difficile contro esame dell’avvocato Scordo, assistita dall’avvocata Caterina Peditto, così come aveva affrontato il funerale della madre, in particolare uscendo dalla chiesa, dietro il feretro, stringendo in alto la foto di Caterina Pappalardo: visibilmente provata ma composta, quasi sostenuta emotivamente dal suo stesso dolore.
Il femminicidio annunciato
La ragazza ha raccontato che la violenza del fratello era cresciuta negli anni, facendo sempre più paura si a a lei che alla madre, che infatti aveva richiesto l’intervento sia dei servizi sanitari che delle forze dell’Ordine. Quegli atteggiamenti sempre più minacciosi erano cominciati con la morte del padre per poi acuirsi quando erano finiti gli studi. Ha raccontato delle continue richieste di denaro alla madre, delle minacce continue di violenza, quando la donna si rifiutava. Una paura crescente, per lei e la madre, che le aveva convinte ad andarsene dall’appartamento di famiglia di via Cesare Battisti dove poi, il 15 gennaio scorso, Giosuè si è accanito con decine e decine di coltellate sulla mamma. Un dramma e un incubo tutto familiare, quello che Sara ha raccontato ai giudici, vissuto al chiuso delle mura domestiche; perché se in casa si sfogava sugli oggetti, sfogava contro la madre e lei tutta la sua rabbia, se in almeno due episodi si ha afferrato la madre per i capelli e per la gola, fuori casa, davanti agli altri, Giosuè aveva invece un comportamento irreprensibile.
Giosuè, patologico o classico femminicida?
Una parte importante del controesame dell’avvocato Scordo ha riguardato invece il trattamento di cura di Giosuè, o meglio le domande del legale sono state incentrate sui passaggi che riguardano proprio gli incontri del giovane con gli esperti ai quali si era rivolta la madre, i passaggi nelle strutture sanitarie (in particolare all’ospedale Papardo di Messina). Gli esperti, ha risposto in sintesi Sara, avevano concluso che il giovane mostrava problemi psicologici, non vere e proprie patologie psichiatriche. Giosuè doveva essere curato? E Caterina, poteva così essere salvata? Questo aspetto sarà forse affrontato nelle prossime udienze del processo.

Ho esitato a lungo prima di scrivere,facendolo non entrerò assolutamente nel merito delle vicende processuali.Conoscevo bene quella famiglia:fui l’amministratore del Condominio in cui risiedevano all’origine.Ebbi modo di vederli troppo piccoli.Mi vorrei soffermare,invece,sui genitori.Il papà,dipendente delle FF.SS,,era di una dolcezza incredibile,non certo un demone in casa.Alla stessa stregua la mamma,affabile ed educata.Che ebbi modo di consiglire anche dopo la morte del marito,morto prematuramente.Mi contattarono all’epoca di un lavoro condominiale nella nuova casa.Il nuovo ascensore,o meglio la Ditta,la consigliai io.Nino,il nome del papà.si affidò a me con la sua atavica dolcezza.Per quanto attinente,Giosuè,crebbe in una famiglia dai grandi valori.Mi è doveroso dirlo,a voce alta,senza tema di essere smentito.