Reggio, post-“Miramare” / Il centrodestra ha fatto sintesi: dimissioni in blocco. Forse

Reggio, post-“Miramare” / Il centrodestra ha fatto sintesi: dimissioni in blocco. Forse

mario meliado

Reggio, post-“Miramare” / Il centrodestra ha fatto sintesi: dimissioni in blocco. Forse

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lunedì 29 Novembre 2021 - 06:55

I cinque partiti del centrodestra rappresentati a Palazzo San Giorgio convergono. Ma i loro rappresentanti in Consiglio seguiranno il loro "suggerimento"?

REGGIO CALABRIA – Tanto tuonò che piovve… I consiglieri comunali del centrodestra, fa sapere la coalizione nella notte, si dimetteranno in blocco.
È questa l’idea perseguita per dare la scossa alla città, per dare un segnale.

Battuto lo scetticismo generale

Diciamolo con franchezza: all’ipotesi che i consiglieri comunali d’opposizione si dimettessero tutti, all’unisono, fin qui ci credevano in pochi. E questo per una serie di motivi, dalla scarsa coesione politica tra le varie “anime” del centrodestra – e in più di un caso, all’interno del medesimo partito – alla scarsissima voglia di tornarsene a casa della gran parte dei consiglieri.

Ma la ragione principale era tecnica. Lasciando individualmente o a gruppetti – ma anche in blocco, se non si raggiunge il golden number di 17 consiglieri, cioè la metà dell’intero Consiglio comunale più uno -, l’unica conseguenza dovrebbe essere la surroga dei dimissionari coi rispettivi primi dei non eletti. Qualcosa cioè di molto lontano dall’obiettivo perseguito, in atto tuttora un miraggio: lo scioglimento dell’Assemblea.

Invece le cose non sono andate in questo modo, e con un comunicato-fiume notturno Coraggio Italia, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e ReggioAttiva fanno sapere d’essersi determinati. Unitariamente; come i loro elettori e simpatizzanti avrebbero voluto fin dall’inizio.

Garantisti

«Non commentiamo provvedimenti giudiziari e, soprattutto, non festeggiamo per condanne altrui. Conosciamo il valore irrinunciabile della presunzione di innocenza. Rimaniamo garantisti – si legge nella nota congiunta – anche quando le sentenze riguardano gli avversari politici. Del resto, non c’è nulla da festeggiare, perché dal caso Miramare e dalle altre vicende in cui è coinvolta la maggioranza a uscirne veramente sconfitti sono i cittadini, l’immagine di Reggio e l’andamento della cosa pubblica».

La sospensione? Non c’entra…

“Processo Miramare”, Giuseppe Falcomatà in aula durante la lettura della sentenza

I partiti d’opposizione – o meglio, di una delle tre opposizioni; neppure in questa circostanza c’è stata azione sinergica con Impegno e identità né tantomeno con la Sinistra radicale – affermano peraltro che «il problema di Reggio Calabria e della sua Amministrazione non è la “Severino”». E neppure «l’abuso d’ufficio contestato a mezza squadra Falcomatà».
Anche perché la sospensione, aggiungiamo noi, ha toccato pure un dirigente di vaglia di uno dei partiti di centrodestra (l’ex vicesindaco Saverio Anghelone, di Coraggio Italia).

Da Coraggio Italia alla Lega a Fdi, i vertici dei partiti interessati ribadiscono anzi che la “legge Severino” sì, va rispettata finché resta così com’è, ma sarebbe «da rivedere il prima possibile». Difficile cancellare la pagina che toccò duramente l’allora Governatore calabrese Peppe Scopelliti.

La coalizione ritiene piuttosto che il problema a Palazzo San Giorgio sia «la mancanza di agibilità politica, nonché le condizioni pessime in cui versa ogni settore dell’Amministrazione comunale. Ecco perché ci saremmo aspettati le dimissioni del Sindaco (anche prima della sentenza) – affermano – e ancor di più di coloro rimasti a comporre la maggioranza».

“Caso Perna” & menzogne

Questo perché sarebbero venuti meno «i valori propri della morale politica».

Tonino Perna, nell’annunciare le sue dimissioni da assessore

In questo senso, le cinque formazioni politiche mettono all’indice l’atteggiamento «politicamente perverso» riservato a Tonino Perna, «sollevato dall’incarico per convenienza» dopo l’incarico fiduciario quale vicesindaco esterno, osservano. Definendo «inquietanti» le affermazioni del docente universitario riguardo al primo cittadino, «tanto sull’aspetto personale quanto politico».

E certo, cosa c’è di politicamente più grave (Watergate docet) che dire menzogne all’opinione pubblica?

Giuseppe Falcomatà sùbito dopo la condanna
in primo grado per il “caso Miramare”

Eppure, riflettono i partiti di centrodestra, Giuseppe Falcomatà avrebbe «mentito a ripetizione, anche ai “suoi”, anche un minuto dopo la lettura della sentenza, quando ha detto che avrebbe discusso il da farsi con il partito e con la “squadra” e che solo dopo avrebbe reso conto alla cittadinanza. Nulla di tutto ciò. In realtà, cosa fare l’aveva già deciso da tempo, in totale autonomia – evidenziano i soggetti politici che animano il centrodestra reggino – e predisposto ancor prima d’entrare in aula-bunker, come confermano le delibere pubblicate un istante dopo l’intervista».
Ad avviso dei partiti firmatari del documento, un esempio cristallino dell’«arroganza politica» del primo cittadino sospeso.

Pd e altri nei…

Proprio a questo punto del testo, la nota diramata dai partiti di centrodestra s’ingravida della massima potenza di fuoco.

Per la sua arroganza, Falcomatà è stato «scaricato anche dai vertici nazionali del Pd», scrivono, perché «indifendibile».
Quella che sostiene l’Amministrazione comunale reggina è una «maggioranza già minata da lotte fratricide», aggiungono. E su questo, basterebbe una veloce rassegna stampa per rinfrescare le idee anche al più recalcitrante esponente del centrosinistra, eh.
Per tacere dell’inchiesta tutto sommato ancora in gestazione sui presunti brogli elettorali del settembre 2020…

Questa selva di premesse, per andare a una conclusione che agli estensori del comunicato che condensa la posizione ufficiale di tutt’e cinque i soggetti politici del centrodestra pare inevitabile. «Non ci sono i requisiti minimi d’agibilità politica, non si può pensare d’ “andare avanti”». Anche perché Reggio «è allo sbando totale, e di questo passo non può che peggiorare».
E com’è facile intuire, viste – appunto – le premesse, «i partiti del centrodestra non intendono essere complici» di quello che definiscono «un disastro annunciato».

Che fare, a questo punto?
Ecco: qui, la storia si divide in due…

La verità dei partiti

Per i vertiti partitici della coalizione di centrodestra, la cosa è molto molto semplice. Bisogna provare a buttar giù il re dalla sua torre eburnea.
Ma chi non risica, non rosica. Come inutilmente esposto per ore già dal deputato Ciccio Cannizzaro quando, con l’avallo di Antonio Tajani, chiamò tutti i consiglieri di minoranza del centrodestra per una riunione nella sede provinciale di Forza Italia, il tentativo può apparire credibile solo se, intanto, sono tutti gli eletti del centrodestra a lasciare. Sùbito. In blocco.

Saverio Pazzano (La Strada)

A questo punto, le probabilità che si dimettano anche Filomena Iatì (Impegno e identità) e Saverio Pazzano (l’ex candidato sindaco de La strada) salirebbero; anche se, in verità, entrambi hanno già dichiarato che lascerebbero solo insieme ad altri 16. Soltanto, insomma, se dimettersi equivalesse a provocare lo scioglimento del Consiglio comunale. E poi, provare ad “agganciare” fulmineamente anche qualche eletto di centrosinistra, per tentare uno “scacco matto” che appare, francamente, difficilissimo.

Tuttavia, “loro” la vedono così. Serve «una presa di coscienza» che si traduca in «dimissioni collettive e ritorno al voto a stretto giro», in quanto «non c’è altro modo per dare uno scossone».

Mini-trionfo leghista

Vero, in casi del genere non occorre mai maramaldeggiare. Ma uno dei “punti”, in minuscolo-minuscolo, è che in seno alla coalizione la battaglia l’ha vinta la Lega.

Nino Minicuci (Lega)

Essì, perché gli adepti del Carroccio l’avevano detto fin dal primo istante. Inutile – aveva affermato Nino Minicuci chez Cannizzaro – consegnare le dimissioni nelle mani della segretaria generale Maria Riva, visto che scatterebbero i primi dei non eletti; utile e necessario, invece, firmarle da un notaio. Che ne sia “custode” fino al raggiungimento del già citato golden number; e a quel punto, le consegni al segretario comunale.

E cosa dice, adesso, lo sterminato documento licenziato nottetempo da tutt’e cinque i partiti di coalizione unitariamente? «Chiediamo ai nostri eletti di presentare contestualmente formali dimissioni presso un notaio», che dovrà Una mezza riga piccola-piccola che però certifica come l’incrocio fra ragionevolezza e rapporti di forza, alla fine, abbia premiato la posizione di Franco Recupero & C.

…Sì, ma quando il notaio andrebbe a depositare le ipotetiche contestuali dimissioni dei consiglieri comunali di centrodestra? «In tal caso», recita il documento; cioè in caso di avvenuta sottoscrizione contestuale delle dimissioni da parte di tutti gli eletti nelle mani del notaio.
Troppo poco. Troppo generico.

La verità degli eletti

Ora che la convergenza politico-partitica è un dato di fatto, bisogna capire bene, anzi benissimo un po’ di cose.

Chi davvero andrà dal notaio a firmare le proprie dimissioni, per esempio. Quante saranno, a quel punto, le dimissioni da poter presentare contestualmente al segretario comunale. E soprattutto quando il notaio andrebbe a formalizzare le «dimissioni in blocco».
Lo «scossone» avrà luogo a prescindere, insomma? I consiglieri di centrodestra lascerebbero all’istante anche se, a firmare dal notaio, si ritrovassero solo in tre, o in sei? E perché dimettersi dal notaio, allora, e non direttamente “in modo definitivo”?

L’interpretazione più logica è che l’addio a Palazzo San Giorgio dei consiglieri che le firmeranno dal notaio sarà formalizzato anche seguendo il dovuto iter amministrativo soltanto quando si raggiunga il numero di 17 dimissionari. Cioè probabilmente mai.

Demetrio Marino (Fdi)

In caso contrario, sarà il caso di ribadirlo, resterà più che altro il gesto improntato a una tensione etica di un certo tipo. Un messaggio agli elettori senza passare per l’AgCom.
…In concreto, però – come già osservato da consiglieri come il forzista Antonino Caridi o il meloniano Demetrio Marino –, quello che i partiti identificano come uno «scossone» propedeutico al ritorno alle urne, in mancanza d’almeno 17 firme costituirebbe al massimo una scossetta da elettricità statica.Come quella che talvolta prendiamo quando proviamo a togliere qualche ciglio o qualche briciola di pane rimasti appiccicati al cardigan.


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